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L'Armadio delle Meraviglie

Aggiornamento: 10 apr 2024




Chiamavo l’armadio di mia zia l’Armadio delle meraviglie perché, ogni volta che aprivo l’antina giallo ocra di quel vecchio armadio a muro nella stanza di mia nonna, mi sembrava di essere catapultata in un’altra epoca.

Un’epoca lontana, magica, lussuosa e dal sapore agrodolce.

Trascorrevo le giornate a far passare e ripassare le mie dita minute tra la stoffa frusciante ed arrossivo quando vedevo l’abbigliamento intimo provocatorio di mia zia. Era così simile a quello del brand di intimo Agent Provocateur, che vidi alla Rinascente di Milano a diciannove anni e di cui mi innamorai perdutamente, che non potei fare a meno di pensare a quanto fosse moderna ed avanti con i tempi quella donna.

Fingevo di dovermi scegliere i vestiti per andare ad una cena di gala, oppure ad una serata a teatro, oppure ancora a un ballo in maschera e mi sentivo così vicina a quella donna da poter quasi giurare che fosse lì con me in quel momento.

È incredibile quanto, pur non avendola mai conosciuta, faccia parte della mia vita e della mia storia come mai nessun altro prima di allora.

Chissà se al tempo si sarebbe mai immaginata di poter diventare la fonte d’ispirazione di una ragazza nata più di mezzo secolo dopo di lei.

Fatto sta che cominciai ad osservare con invidia le sue foto. Aveva sempre degli outfit mozzafiato e mai banali, con un tocco di stile personale che trovavo davvero incredibile.

Ero una ragazzina cicciottella, che vestiva con abiti che sembravano tendoni da circo per nascondere i rotolini, e quando andavo in giro per i centri commerciali non trovavo mai nulla che mi piacesse davvero o che mi stesse bene. Anche perché ai tempi andava di moda la vita bassa che io odiavo con tutto il cuore e tutta l’anima - e ad oggi il sentimento non è mutato.

Fatto sta che mi chiedevo sempre come facesse Gianna a vestirsi così bene. Era solo una questione di gusto e buona fattura? Forse lei aveva un senso innato per lo stile, mentre io vestivo come una straccivendola perché non ne avevo? Queste domande mi tormentarono per molto tempo.

Parlando del mondo dei mercatini.

Mi erano sempre piaciuti i mercatini dell’usato. Li bazzicavo spesso con i miei genitori e mi piaceva osservare la mercanzia di altri tempi, ma senza mai soffermarmi sugli abiti.

Per carità, comprare abiti usati? Chi diavolo ero, una mentecatta? Certo che no. Molto meglio comprare fast fashion in alcuni dei negozi più conosciuti di Milano: con venti euro mi portavo a casa quattro magliette e per di più mi avanzava qualcosa per un panzerotto da Luini.

Ammetto che ad oggi mi vergogno veramente molto di quei pensieri, ma cerco di provare a giustificarmi pensando che in fondo ero molto giovane - e anche un po’ ignorante.

Stetti a lungo ben lontana dagli abiti usati, finché un giorno trovai per casa il volantino di un mercatino dell’usato che mia mamma frequentava piuttosto assiduamente.

Ad oggi posso dire con orgoglio che la maggior parte dei miei mobili di antiquariato (tra cui la mia splendida scrivania degli anni cinquanta in rovere) viene proprio da lì.

Guardai il volantino con aria curiosa e notai che annunciava una vendita di abiti di marca il secondo sabato del mese, promettendo che sarebbe stata molto grande e molto ben fornita. Non parlo di sottomarche, ma veri e propri nomi dell’alta moda, quali Armani, Prada, Versace etc…

La cosa suscitò il mio interesse, tuttavia una domanda continuava a perseguitarmi: potevo farcela ad indossare abiti di seconda mano? Insomma, un conto era portare i vestiti di mia zia, un conto era portare i vestiti che uno sconosciuto aveva dismesso e dato via.

Alla fine decisi di affrontare questo stupido ostacolo, anche perché gli abiti di seconda mano solitamente vengono lavati ed igienizzati, soprattutto dopo la pandemia del 2020.

La cosa divertente è che ora, a distanza di tanti anni, il fatto che gli abiti siano appartenuti a qualcun altro ed abbiano una storia, è quello che più in assoluto mi attrae del Vintage e del second hand. Ogni abito ha qualcosa da raccontare: chissà quando è stato scelto, da chi e con quale scopo. Mi perdo nelle fantasie mentre indosso gli abiti, dando loro a mia volta una nuova storia.

Ma torniamo al fatidico giorno.


Presa dalla curiosità per quei nomi altisonanti e dalla ghiottoneria di potermi accaparrare qualche capo a buon prezzo, mi presentai all’evento. Borsetta stretta sotto il braccio da una parte e mamma temeraria ed avventuriera dall’altra, cominciai con lentezza a far passare i capi d’abbigliamento tra le dita e con meraviglia trovai uno splendido top in tessuto simil jeans rosa di Emporio Armani.

Lo afferrai e me lo provai in camerino, dove constatai con meraviglia che mi stava molto bene e che era di ottima fattura. Com’era possibile? Dipendeva dal fatto che era un vestito di marca, oppure c’era la possibilità concreta che “seconda mano” e “usato” non significassero necessariamente quello di cui, fino a poco prima, ero profondamente convinta?

Una volta uscita dal camerino, tornai a caccia e trovai due paia di jeans Levi’s, una maglietta a mezze maniche di Prada e un top stupendo di una marca mai sentita prima, che ancora oggi indosso con gli occhi luccicanti, ed è forse la mia maglietta preferita. Un paio di All Star rosse, una giacca di jeans, una maglietta a maniche corte di Emporio Armani, un maglioncino di lana blu e per finire, due libri fantasy.

Mi sembrava di aver appena finito una deliziosa sessione di shopping alla Rinascente ed andai via trotterellando per la gioia.

All’epoca avevo i capelli rossi, e potevo solo immaginare come da lontano potessi sembrare un funghetto saltellante al quale mancava qualche rotella, ma non mi importava. Avevo trovato un sacco di vestiti stupendi e due libri che cercavo da tempo e - indovinate un po’? - avevo speso solo trenta euro. Dei cinquanta con cui ero arrivata, mi erano avanzati ben venti euro per prendermi una bella pizza gigante con coca cola e patatine (alla faccia di Luini e dei suoi panzerotti, che comunque restano sempre molto buoni.)

Poco tempo dopo quella splendida giornata, ad avvalorare questa tesi secondo la quale è preferibile fare acquisti di seconda mano, o meglio ancora Vintage, ci pensò il documentario propostomi dalla persona che sarebbe diventata la mia relatrice di tesi all’università: The True Cost di Andrew Morgan.

Lo guardai una fredda serata di febbraio insieme ai miei genitori. Nella stanza non volava una mosca ed impietriti fissavamo quelle immagini mostruose scorrere sullo schermo, mentre la consapevolezza si faceva strada verso di noi.

Se quello era “il vero costo”, potevo continuare a comprare fast fashion spinta dal solo fatto che costasse poco e per un po’ fosse godibile?

La risposta venne di lì a poco: NO.

Da quel giorno cominciò la mia campagna pro Second Hand e scoprii la differenza tra Vintage e Second Hand, apprendendo così che gli abiti di mia zia, sopravvissuti fino al giorno d’oggi, sono Vintage, come tutti gli abiti che hanno più di vent’anni.


Prima di finire questo post, in cui parlo della mia storia in modo anche piuttosto ironico, perché - diciamocelo - è meglio non prendersi troppo sul serio, vorrei dedicare uno spazio ad una persona che ha stravolto definitivamente la mia vita, contribuendo, sebbene in maniera non consapevole, a questo progetto.

Sto parlando di Giulia.

Giulia è una splendida ragazza che conobbi sul posto di lavoro nel dicembre del 2022. Ora è passato un po’ di tempo, io non lavoro più lì e nemmeno lei, ma, come detto prima, ci tengo davvero ad aprire una parentesi su di lei.

La prima volta che vidi Giulia pensai fosse di una bellezza incredibile. Aveva lunghe unghie laccate di rosso, indossava un basco nero e il suo viso era un ovale quasi perfetto. Labbra carnose e rosse e uno sguardo che forse, in un primo momento, sembrava freddo e indagatore, ma in realtà nascondeva una personalità forte e una predisposizione quasi commovente ad aiutare noi povere apprendiste.

All’inizio avevo un po’ paura di lei: era così sicura di sé, così brava nel suo lavoro e, ripeto, così bella, che incuteva timore. Non sa che all’inizio pensavo questo di lei, ma penso che leggendo lo scoprirà presto (perdonami Giulia, adesso non è più così e credo proprio tu lo sappia ahahah).

Tuttavia ciò che più mi colpì di lei fu la sua passione per il Vintage, come si capiva immediatamente osservando gli splendidi abiti e gioielli che sfoggiava.

Per vestirsi si ispirava agli anni Quaranta e Cinquanta e ogni volta, da lontano, ammiravo quell’eleganza e bellezza senza tempo che su di lei calzava veramente a pennello.

Con il tempo, mi avvicinai a lei esprimendo la mia più sincera ammirazione e iniziammo a parlare delle nostre passioni. Venne fuori che entrambe avevamo uno spiccato interesse per la storia della moda e per gli abiti di epoche passate.

Ricordo ancora quando mi avvicinai a lei guardando fuori dalla finestra e le dissi che era oramai il periodo dell’anno perfetto per guardare Downtown Abbey. Lei mi guardò sorpresa, confidandomi che lo amava follemente soprattutto per l’incredibile accuratezza verso il costume storico.

Mi mostrò anche una foto di lei davanti alla locandina del film e la guardai a bocca aperta. Sembrava uscita direttamente dal film per fare un giro tra noi comuni mortali e poi ritornare all’epoca a cui realmente apparteneva.

Parlammo sempre più a lungo e più frequentemente e lei mi raccontò con gli occhi a forma di cuore del Vintage, di ciò che aveva acquistato a diverse fiere e della fiera di Belgioioso, dove lavorava tutti gli anni insieme a una sua amica ed entrambe vendevano gioielli vintage veramente strepitosi.

Io le confidai il mio desiderio di vestirmi vintage con anche richiami ottocenteschi, ma le confessai anche il mio timore per quello che gli altri avrebbero potuto pensare.

Giulia, invece di prendermi in giro, mi guardò negli occhi e con voce ferma disse: "vestiti come ti fa stare bene e se gli altri ti guarderanno strano fregatene, con il tempo si abitueranno”.

Forse può sembrare una frase banale, detta in un momento qualunque della vita e senza un particolare significato, ma quella frase cominciò a tormentarmi nei giorni e nei mesi a venire. Poi Giulia, un giorno, annunciò che se ne sarebbe andata e che avrebbe cambiato lavoro.

Il dispiacere fu immenso e alla fine, quando la abbracciai salutandola e augurandole “In bocca al lupo”, lei mi disse: “mi raccomando, non farti mettere i piedi in testa da nessuno e in bocca al lupo.”

Mesi dopo, quando passò il periodo più difficile della mia vita, mi ritornarono alla mente le parole di Giulia e piano piano, quasi mi stessi svegliando da un lungo letargo, sbocciai, dando vita a tutto questo.


A presto,

Sovintagesoul










Di seguito uno scatto di Giulia, strepitosa in uno dei suoi Outfit mozzafiato!



PS: Grazie a Giulia, la mia fenomenale cugina, che ha migliorato con le sue straordinarie competenze questo articolo!!!



 
 
 

1 Comment


lucrezia0
Dec 05, 2023

Pezzo scritto molto bene come sempre, complimenti 💗.


In passato tutti abbiamo sbagliato e abbiamo fatto pensieri un po' ignoranti, ma l'importante in seguito è rendersene conto. È una cosa di cui andare fieri, perché non tutti ci arrivano.

Purtroppo viviamo in una società che spesso e volentieri vuole nasconderci la verità, spingendoci a comportarci in un certo modo, a fare determinate scelte perché per noi ormai sono diventate la normalità. Non ci pensiamo neanche.

La fast fashion fa schifo e tu stai facendo una cosa molto nobile portando avanti questo progetto second hand 💛.


Gli abiti vintage sono molto affascinanti, non come certe "schifezze moderne"😜😆😆😆

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